Recensioni - Paesaggio Dopo la Battaglia di Lambé e de Pierpont

 Autore: Eric Lambé e Philippe de Pierpont
Titolo: Paesaggio Dopo la Battaglia
Editore: Coconino Press
Pagine: 432 a colori
Formato: 17 x 24 cm, brossurato

E’ meglio partire sparati: questo è uno dei migliori fumetti del nuovo millennio. Sono anni di sperimentazione e la giusta consacrazione arriva con il fauve d’or all’Angouleme, tra l’altro proprio Here di McGuire lo vinse l’anno prima, che ha in comune con Paesaggio la sperimentazione sul tempo fumettistico ma svolta in maniera decisamente diversa.

Ebbene, Paesaggio è uno di quei fumetti che non si pone delle restrizioni, cerca anzi di aprire quella gabbia e lo fa senza sotterfugi, in semplicità, senza essere veramente innovativo però porta tutto all’estremo. L’enorme complessità strutturale appare semplice perché lavora per sottrazione, questo è encomiabile ed è una delle vie nobili dell’arte in generale, ma non fa altro che rappresentare – a mente fredda – un processo creativo ancora più complesso.
La coppia di artisti belgi non è nuova a questo tipo di approccio, ma Paesaggio rappresenta lo zenit di un percorso devoto all’indipendenza, cioè al lavoro senza catene e al non convenzionale.
Da grande amante del cinema d’avanguardia e d'autore posso affermare che, ad ora, questo è il fumetto più cinematografico che mi sia capitato tra le mani ma c’è da chiarire l’uso dell’aggettivo poiché di solito è associato al fumetto solo per parlare di sequenzialità, per conferire l’essenza cinematica ad un’arte statica. Questa volta è diverso, Paesaggio mi ricorda un film d’autore per la scelta delle inquadrature, per l’attenzione ai dettagli, per il modo in cui ti costringe a vedere ciò che gli autori vogliono e non ciò che il lettore si aspetta.


Già la copertina ed il titolo sono tutto un programma, guardando all’interno e sfogliando solo le pagine si capisce che non c’entra nulla ma poi, una volta iniziato, è lampante la loro essenza allegorica, come lo è tutto il fumetto d’altro canto.
Lambé e Pierpont procedono per allegorie e metafore visive, ovvero tramite l’unico modo per cogliere emozioni impercettibili ed indicibili, riprendendo silenzi e gesti apparentemente insignificanti, difatti la storia è frammentaria, il montaggio è associativo e i pezzi del puzzle vengono sparpagliati. Dunque l’opera richiede impegno nonostante la scarsità di testo. D'altronde anche l'immagine è un linguaggio e in quanto tale non può essere univoca, ma la capacità di recepirla dipende - al di là della predisposizione di chi la usufruisce - da quanto è stratificata e/o astratta. E' anche vero che l'assenza di parole agisce in maniera opposta tra cinema e fumetto, a parità di rappresentazione. Un film che ha lunghe scene senza parole è decisamente più pesante da sopportare, lo si vede accusare di lentezza (manco fosse una cosa negativa a prescindere), mentre un fumetto con una lunga sequenza senza testo in realtà ti semplifica la lettura. La contemplazione - ma anche i silenzi - funziona molto meglio al cinema per un motivo molto semplice: il tempo non univoco del fumetto si contrappone al tempo imposto del cinema. In Paesaggio non solo funziona ma è parte fondante della narrazione, e ci riesce utilizzando appunto la stratificazione grafica, giocando sull'astrazione e sull'emozione straniante, che non è tanto dissimile da quanto faceva Moebius con Arzach, un'opera che folgorò tutti anche per altri motivi. Quindi il punto è dilatare il tempo che il lettore percepisce, d'altronde quando vediamo una sequenza di inseguimento in Mad Max Fury Road percepiamo lo scorrere del tempo in maniera ben diversa da quello percepito davanti alla scena della candela in Nostalghia di Tarkovskij, no?
Non a caso Tarkovksij in Scolpire il Tempo dice: «[...] l’immagine non è questo o quel significato espresso dal regista, bensì un mondo intero che si riflette in una goccia d’acqua, in una goccia d’acqua soltanto!»


Tarkovskij parte dal concetto esposto da Bergson circa la problematica del tempo, secondo cui ci sono due modi in cui esso si manifesta, ossia come tempo quantitativo, «un mezzo omogeneo in cui sembrano svolgersi gli stati di coscienza», e come tempo prettamente interiore, che non segue lo scorrere del mondo esterno, come quello della sabbia nella clessidra o, in generale, tutto ciò che riconduce ad un fatto estensivo che il tempo stesso scandisce. Bergson afferma anche che la nostra esistenza «si svolge quindi nello spazio più che nel tempo: viviamo per il mondo esterno piuttosto che per noi; parliamo piuttosto che pensare; “siamo agiti” piuttosto che agire noi stessi». Perché ho tirato in ballo questi concetti? Perché raramente si parla di tempo percepito nel fumetto e perché durante la lettura di Paesaggio mi sono reso conto, più di prima, di come lo spazio/immagine possa farci dimenticare il mondo esterno, d'altronde la battaglia del titolo è tutta interiore. Inoltre, Lambé stesso, raccontando il suo processo grafico, parla di "abitare il disegno". Ho citato Arzach prima, e certamente non è l'unico a creare una tensione temporale che "agisce" trasmettendoci una esistenza altra, ma Lambé lo fa in modo diverso: tramite l'essenzialità. Il minimalismo grafico e dialettico è in questo caso ai massimi livelli, è difficile adoperare una sottrazione così calcolata e convincente.
Stiamo parlando di un lavoro durato 4 anni e sì, un romanzo grafico in tutto e per tutto, libero da pressioni e limiti di impaginazione. E’ un fumetto fatto di silenzi, di tempi dilatati e di ripetizioni opprimenti, è così claustrofobico nella messa a fuoco di dettagli da rasentare il documentarismo; mi ripeto dicendo che è un tour de force di reminiscenze filmiche più disparate, si passa da Antonioni alla Nouvelle Vague ad uno Tsai Ming Liang, senza citare nulla. La telecamera a mano è attaccata ai corpi e agli oggetti, le vignette sono poche e quindi ampie ma soffocano. Tutto ciò amplifica lo straniamento e l’astrazione, portando il lettore in simbiosi con la giovane donna protagonista del non racconto. Per dare più consistenza al parallelo cinematografico dico che stilisticamente mi ha ricordato molto Il Figlio di Saul per via dei piano sequenza incollati alle spalle del protagonista e, allo stesso modo, vediamo quasi sempre la protagonista di Paesaggio di spalle, di solito in mezzo busto e posizionata ai lati della vignetta, ma per un motivo diverso e infatti qui si rappresenta l’inadeguatezza di lei nel rapportarsi faccia a faccia con il lettore, tanto è il dolore scaturito dalla perdita, esigendo quindi una ricostruzione del racconto in soggettiva che progressivamente si snoda.


L’atmosfera è plumbea, sospesa nel limbo in attesa che succeda qualcosa, è incombente e lo sai, aspetti impaziente di scoprire cosa. L’evento arriverà presto, la storia si ricostruirà man mano e magari nuove prospettive ti si apriranno, magari ti spingeranno a rileggere la storia da capo o solo a sfogliare determinate pagine appena riportate alla mente. La memoria fa brutti scherzi, soprattutto quando è la materia a plasmarla, si manifesta quando meno te lo aspetti, e durante la lettura di Paesaggio è più attiva che mai: la voglia di ritornare indietro è più forte della curiosità di giungere alla fine perché senza aver capito bene cosa stanno cercando di dire i 2 autori non sarai soddisfatto.
E’ come se più forze agissero, in direzioni opposte, su di te; in pratica la capacità di spingerti ad interagire con il fumetto mentre in realtà ti sta offrendo un prodotto decisamente ermetico e chiuso in sé stesso è più unica che rara: immaginate di essere chiusi in una gabbia e Jennifer Lopez è lì fuori, visibile.
I disegni sono multiformi, spesso si assiste ad una mutazione del soggetto in un altro simile la cui associazione ha valenza interpretativa. Il segno è così oltremodo evocativo, praticamente mai descrittivo, in cui l'architettura minimalista se non assente fa da eco alla solitudine e al tormento.
E’ un fumetto lento, contemplativo, evocativo, in cui si possono incontrare decine di pagine di fila senza parole, le stesse pagine che dicono ciò che il testo non può, in sintesi: una dolce e amara poesia mai scritta.
In definitiva, è un’opera coraggiosa su una vita distrutta, che racconta il dolore attraverso l'assenza di emozioni per via delle conseguenze che si portano dietro, in cui il bianco paesaggio invernale, dopo una battaglia interiore, torna a risplendere dei colori primaverili.
Un capolavoro, sono rimasto ammaliato dalla profonda semplicità con cui mostrano questo doloroso racconto in chiave surreale e psicanalitica, ma lode anche e soprattutto a Lambé, che con la sua mezzatinta mista a sprazzi di colore è riuscito ad emozionarmi.


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