Recensioni - Trilogia Shakespeariana di Gianni De Luca

Autore: Gianni De Luca e Sigma
Titolo: Trilogia Shakespeariana
Editore: Nicola Pesce Editore
Pagine: 167 in bianco e nero
Formato: 21 x 30 cm, cartonato

Complice la rilettura della trilogia nella nuova veste NPE, impreziosita dall’analisi di Brunoro, mi sento in dovere di ricordare un grande del fumetto italiano, ma poco celebrato. A mio avviso ci troviamo davanti a qualcosa di epocale e che ha dell’incredibile nella storia del fumetto per via dell'innovativa sintassi e del talento di De Luca.

Il fumetto è un’arte sequenziale, possiamo usare qualsivoglia altra definizione calzante e tutto ciò che ne deriva ma non stiamo qui a fare lo Scott McCloud di turno, però diciamo che dalla fase post-embrionale, da quando il media ha acquisito un suo linguaggio, si è avuto un costante sviluppo, una ricerca verso nuovi modi di approcciarsi. Ciò capita per qualsiasi forma d’arte e non, ovviamente, e una tappa fondamentale della crescita del fumetto è la trilogia Shakespeariana, in quanto rappresenta uno dei punti più alti della sequenzialità vera e propria, rappresentando una rivoluzione stilistica e sintattica che ha pochi eguali. E’ bene ricordare che “nessuno nasce imparato” e che ogni scoperta - o perfezionamento - è figlia e derivativa di altre, dunque si procede a gradini e De Luca negli anni ne ha aggiunti più di uno.
Una domanda che in molti potrebbero porre è: perché leggere questa trilogia quando ci sono le opere originali che sono capolavori immortali? Perché sono due cose diverse, fatte tramite due mezzi diversi, e De Luca non è schiavo di Shakespeare così come il fumetto non è suddito del teatro.
E’ evidente che i testi di Shakespeare vengono in parte sacrificati, la parola spogliata dei sottotesti e in parte alleggerita da tutto il suo clamore teatrale in quanto tutto ciò sovraccaricherebbe inutilmente la scena e così facendo l’adattamento, anzi, la riduzione (termine quanto mai calzante) di Sigma viene incontro alla ricerca dell’immediatezza da sempre perpetuata da De Luca. Inoltre non si deve dimenticare che quest’opera non dovrà scontrarsi con l’originale sul piano della scrittura, essendo un testo teatrale, ma dovrà fare i conti con il linguaggio proprio del fumetto, dove la sceneggiatura dovrà essere in armonia con il lato grafico. Senza dimenticare che, appunto, i dialoghi della trilogia  acquisiscono un carattere coreografico, non tradendo ma cercando un sodalizio con la dimensione teatrale.
Se è vero che mancano dei pezzi di testo importanti, penso al monologo in Amleto sull’essere o non essere che è appena accennato, è altresì vero che De Luca sopperisce a questa “mancanza” con la gestualità dei personaggi, che rendono ogni emozione perfettamente, e l’architettura, che ha valenza narrativa. Dunque, la trama resta intatta e qualche dialogo viene riproposto, ma ne La Tempesta lo svolgimento è del tutto diverso in quanto, per esigenze narrative, si prosegue in ordine cronologico. Inoltre, La Tempesta è la riduzione più spoglia delle 3, rendendo di fatto la storia un po’ troppo semplice, ma trilogia è un crescendo non solo grafico e sperimentale (d’ambizione), lo è anche dal punto di vista narrativo. Per cui si arriva a Romeo e Giulietta all’apice della forma, dopo aver affinato le capacità ed aver capito pienamente le possibilità narrative del tutto nuove che si stavano affrontando.
E’ un’escalation drammatica ed espressiva, “il movimento nel movimento” direbbe De Luca, dove in pratica cancella l’atto di far cogliere - tramite l’immaginazione - allo spettatore i momenti mancanti tra una vignetta e l’altra, abolendo essenzialmente lo spazio bianco, la closure.

Le novità introdotte sono molteplici, in primis si ha la scomparsa della frantumazione grafica inseguendo l'unità. Poi i personaggi si muovono – letteralmente – seguendo traiettorie precise, esplicando una coreografia che si potrebbe dire richiama l’animazione. Inoltre gli elementi architettonici sono anch'essi personaggi, ma non delle mere comparse, anzi, sono proprio funzioni narrative. Anche il colore ha una funzione narrativa e non solo estetica. Si fa prima a dire che niente è lasciato al caso, d’altronde lo afferma anche l’autore nella sua splendida e lunghissima intervista concessa alla figlia.
Si ha di fronte un’opera che è un tutt’uno, che ha il sapore dell’arte concettuale senza la sua tipica freddezza, in cui la struttura è accompagnata da una sottostruttura e una sovrastruttura.
Non è un semplice adattamento, qui gli autori portano il teatro e il cinema nel fumetto come mai si era visto. Si capisce subito che è una raffigurazione teatrale poiché ci si imbatte in prospettive forzate, un’architettura stilizzata, che non descrive ma suggerisce il contesto, personaggi che si muovono sullo sfondo che funge da proscenio ed escono da dietro le quinte.
Si parlava di evoluzione nell’evoluzione in questa trilogia e se ne La Tempesta l’unità è data da elementi naturali o architettonici, che assumono lo scopo del layout, mentre i personaggi si muovono moltiplicandosi e conferendo fluidità sopra l’immobilità della carta; in Amleto invece le vignette scompaiono totalmente e l’unità di spazio tipica del teatro è interamente trasferita su tavole singole e/o complementari. Il tempo scorre e lo spazio è fisso. Un ulteriore passo lo si ha con Romeo e Giulietta in cui, a tal punto, non resta che stabilire un continuum totale su tutto il campo visivo e ciò si traduce in sole doppie pagine.

Di fatto De Luca si dà dei limiti e anticipa ciò che faranno poi gli OUBAPO (Ouvroir de bande dessinée potentielle), ovvero darsi dei limiti formali per spingere i confini del medium.
In aggiunta, ne La Tempesta si possono notare 3 pagine in cui sussiste l’uso delle vignette tradizionali e guarda caso lo fa nei passaggi di svolta, ovvero durante i 2 naufragi e il confronto finale. Questa ripetizione sta a rimarcare l’intenzionalità dello strumento narrativo utilizzato. Come diceva Eco “ il buon fumetto è quello in cui la ripetizione ha un significato e accresce la ricchezza della storia…”


De Luca, autentico e umile sperimentatore, è da sempre in fissa con la ricerca atavica della linea, volendo giungere quell’essenzialità delle pitture rupestri della grotta di Altamira, ma è in fissa anche con il montaggio, la tecnica, la forma, la gestualità ed infine il movimento. L’autore ci suggerisce che il movimento esteriore è affiancato da un movimento interiore. In altre parole la vera rivoluzione della trilogia è lo scorrere del tempo, inteso come “movimento della vita”.
Un altro elemento importante è la prospettiva, un artificio che rende possibile tutta la messa in scena poiché dà la possibilità allo spazio di fare da Atlante: sobbarcare il peso del movimento. A volte anche le prospettive si muovono, nel senso che si cambiano i punti di vista e come non citare ad esempio le cinque coppie finali di Amleto in cui c’è un continuo campo e controcampo?

Parliamo di cinema, no? Ebbene, cosa fa De Luca se non un piano sequenza? Sia esso conferito da un’immagine fissa o una carrellata, il fatto è che non ci sono tagli. Utilissime sono le sue riprese aeree e nella seconda pagina di Amleto utilizza anche lo zoom.

Si diceva che l’architettura è parte integrante dell’opera, questo è evidente ma non ha solo il ruolo di transizione tra le scene o scansione temporale, la scenografia è anche narrativa, può amplificare uno stato d’animo e si prenda come esempio la tavola in cui Amleto fa il suo monologo mentre cammina su un pavimento in cui le pietre formano una tela di ragno, proprio a simboleggiare l’essere intrappolato in se stesso. L’asimmetria di una coreografia può essere metafora di una tragedia in atto (22esima doppia in Amleto). Un’altra intrigante soluzione è la parete affrescata nel tribunale in cui si vedono Romeo e il frate, in una scena temporalmente successiva.



Tra l'altro, ciò che è evidente nel cosiddetto "effetto De Luca" è che non è solamente uno strumento per rendere al meglio la teatralità del testo di partenza, del resto è una tecnica usata anche da altri, ma è anche la maniera in cui l'autore riesce a rendere il dramma individuale dei personaggi ed è evidente soprattutto in Amleto poiché la spersonalizzazione è maggiore, maggiori sono i dubbi e i tormenti, e l'apice lo raggiunge proprio nella pagina della "tela del ragno". In questa tavola vediamo 2 tipi di movimenti suddetti: quello interiore e quello esteriore. Prendendo in prestito l'analisi che ne fa Matteo Rima, la tavola si può descrivere in questo modo:
"Dal modo in cui l’illustrazione è strutturata si capisce che la sequenza si svolge in due fasi, corrispondenti a due distinti momenti: prima il giovane principe riflette, muovendosi lungo una traiettoria circolare mentre è immerso a fondo nei propri pensieri, poi il suo sguardo risoluto e il suo incedere più eretto lasciano intendere che egli ha alfine preso la decisione che determinerà le sue azioni nellimmediato futuro. Ma quanto durano le due fasi in questione? Non si può stabilirlo: grazie allambiguità con cui la scena è costruita i dieci frameche compongono litinerario circolare di Amleto sono privi di nuvolette e, con esse, di agganci temporali che possano delimitare cronologicamente i movimenti del personaggio , è lecito immaginare che il loop del giovane possa essere ripetuto un numero indefinito di volte e che, pertanto, la sequenza si possa prolungare anche per diversi minuti."
In questo modo possiamo dire che i personaggi non sono altro che (di)segni nel tempo, in costante divenire, e, non a caso, segno e tempo sono da sempre le motivazioni che spingono De Luca a sperimentare, come era evidente anche già nel Commissario Spada. I personaggi in Amleto acquisiscono progressivamente sempre più potere sulla scena, difatti nel finale la scenografia è quasi spoglia, ed è anche vero che cambia il modo di intendere la pagina, dunque del tempo, anticipando le conclusioni di Romeo e Giulietta, ovvero creando sole doppie pagine, con la particolarità che in queste pagine finali di Amleto la progressione è semicircolare; non è più una questione interiore, verticale, ma segue uno sviluppo orizzontale per favorire l'azione.
Passando al colore invece come funzione narrativa possiamo fare gli esempi in cui fa notare il trascorrere del tempo tra una parte della tavola e l’altra, si pensi a quando Romeo riceve la notizia del ballo, oppure come presagio e si pensi a quando Amleto e Laerte si stanno preparando, entrambi in bianco e nero, mentre il rosso sangue si staglia sull’altare e sulla coppa (19esima doppia). Un’entrata luminosa quando c’è ancora la speranza seguita da un’uscita tetra quando si presagisce l’incombenza del fato. Poi i personaggi che sono solo comparse hanno di solito un colore spento, pallido, quelli in movimento sono più vivaci, ma anche uno che inizialmente è spento può animarsi acquisendo colore. Il colore può amplificare le emozioni, può essere complementare tra la parte sinistra e destra e così via. Una splendida trovata può essere la rivelazione della morte del Re in Amleto, di chiara ispirazione alle vetrate delle chiese (pag.9).


La cura e la ricerca storica sono sopraffine, ma l’ennesimo punto di forza di De Luca è la gestualità. E’ incredibile come riesca a trovare sempre espressioni convincenti, naturali e diverse in ogni scena.
Non che la fluidità debba per forza essere rispettata, dipende dall’opera, dal contesto e dagli intenti, ma De Luca è quel genio che riesce a farti leggere dal basso verso l’alto, da destra verso sinistra senza perderci in naturalezza e, se è arrivato a tanto, è perché non ha mai smesso di apprendere e studiare.
De Luca, in pratica, utilizza tutto il suo repertorio (e come non citare anche il fine uso del pointillisme) per creare un capolavoro senza tempo.
Sfortunatamente il disegnatore è destinato a restare nell'ombra e il motivo è soprattutto da ricercarsi nella sua dedizione a lavorare per la rivista cattolica per ragazzi. Questa è anche la sua stranezza, un rivoluzionario tradizionalista, ma del resto lo si può osservare anche nel suo carattere. Forse è proprio grazie al Giornalino che De Luca è riuscito a fare tutto ciò e, in breve, si può riassumere, citando nuovamente Rima, con l'utilizzo di “stratagemmi linguistici sofisticati e basati su una seria e profonda riflessione concettuale, in grado di arricchire lesperienza di lettura senza mai appesantirla.
De Luca sarà ricordato da pochi, al di là della tecnica che prende il suo nome, ma questa è un'altra storia.


Nessun commento:

Posta un commento