Autore: Anders Nilsen
Titolo: Big Questions
Editore: Eris Edizioni
Pagine: 658 in bianco e nero
Formato: 17 x 21 cm, brossurato
Una favola postmoderna che ha richiesto all'autore 15 anni, 600 pagine e che ha come protagonisti principalmente degli uccelli (e non solo), il cui titolo proviene esattamente dalle domande che si pongono gli animali, mentre gli uomini non hanno niente da dire.
Conosco l'opera da un po' di
anni ma sono sempre stato scettico e mi sbagliavo profondamente. Quando lessi Dogs and Water iniziai ad amare Nilsen e questo è il suo
capolavoro. Quindi mi fa piacere che qualcuno, Eris, lo abbia finalmente portato in Italia.
Le domande sono le classiche e banali questioni metafisiche che affliggono l'uomo da sempre, tuttavia non è che la storia giri intorno a queste domande. Anzi, la storia è proprio da slice of life con un evento che modifica lo status quo, ambientata però in una distesa onirica al di fuori del tempo (o più propriamente fuori dal tempo umano, ma con l'ottica degli uccelli e per questo è brillante), condita da humor nero, metafore e con echi del teatro dell'assurdo (Beckett in primis). La futilità dell'esistenza è l'azione che spinge all'interrogazione. La naïveté va di pari passo alla profondità della dissertazione, che non si esplica tramite paroloni ma con l'atmosfera; la sua forza sta nella tensione generata da questi 2 poli opposti e, infine, la sintesi e l'astrazione grafica, che creano un mood onirico, suggellano questa favola. Le domande non sono neanche tali, non hanno un punto interrogativo e di conseguenza non ci aspettiamo risposte.
I personaggi sono costantemente in pausa, osservano il loro ambiente, fanno un passo, si fermano di nuovo. Nilsen dedica spesso alcune pagine a una breve conversazione o ai dettagli di una minuscola interazione fisica, poi si tira indietro per mostrarci un paesaggio vuoto o vira su un mandala astratto come cesura nella storia.
Un aereo militare si schianta contro la baracca di una vecchia vecchia e gli uccelli cercano di capire cosa fare del suo pilota incagliato e infestato dai sogni. Un serpente che si prepara a morire conduce un uccello in lutto negli inferi per una sorta di messa in scena di Orfeo ed Euridice. C'è un gufo, una brutta banda di corvi, alcuni battibecchi sul cibo. Nessuno capisce le motivazioni o le azioni degli altri e, quando pensano di capirlo, ne consegue una tragedia. Ma anche la morte non sempre porta i personaggi di Nilsen fuori dalla storia: se ne stanno in giro come scheletri parlanti, o si muovono lentamente fuori da questo mondo e nell'altro.
Non è neanche lontanamente pretenzioso, è proprio l'opposto, è divertente e una volta iniziato non ti molla più. Nilsen alterna uno stile assai minimalista a pesanti tratteggi e pointillisme di chiara ispirazione moebiusiana, pagine con un layout normale ad altre libere, pagine di dialoghi e pagine mute, il bianco assoluto al nero totale. Insomma, la più grande capacità di Nilsen sembra essere la gestione del ritmo ma il libro eccelle in tutto. Amo i suoi silenzi.
Le domande sono le classiche e banali questioni metafisiche che affliggono l'uomo da sempre, tuttavia non è che la storia giri intorno a queste domande. Anzi, la storia è proprio da slice of life con un evento che modifica lo status quo, ambientata però in una distesa onirica al di fuori del tempo (o più propriamente fuori dal tempo umano, ma con l'ottica degli uccelli e per questo è brillante), condita da humor nero, metafore e con echi del teatro dell'assurdo (Beckett in primis). La futilità dell'esistenza è l'azione che spinge all'interrogazione. La naïveté va di pari passo alla profondità della dissertazione, che non si esplica tramite paroloni ma con l'atmosfera; la sua forza sta nella tensione generata da questi 2 poli opposti e, infine, la sintesi e l'astrazione grafica, che creano un mood onirico, suggellano questa favola. Le domande non sono neanche tali, non hanno un punto interrogativo e di conseguenza non ci aspettiamo risposte.
I personaggi sono costantemente in pausa, osservano il loro ambiente, fanno un passo, si fermano di nuovo. Nilsen dedica spesso alcune pagine a una breve conversazione o ai dettagli di una minuscola interazione fisica, poi si tira indietro per mostrarci un paesaggio vuoto o vira su un mandala astratto come cesura nella storia.
Un aereo militare si schianta contro la baracca di una vecchia vecchia e gli uccelli cercano di capire cosa fare del suo pilota incagliato e infestato dai sogni. Un serpente che si prepara a morire conduce un uccello in lutto negli inferi per una sorta di messa in scena di Orfeo ed Euridice. C'è un gufo, una brutta banda di corvi, alcuni battibecchi sul cibo. Nessuno capisce le motivazioni o le azioni degli altri e, quando pensano di capirlo, ne consegue una tragedia. Ma anche la morte non sempre porta i personaggi di Nilsen fuori dalla storia: se ne stanno in giro come scheletri parlanti, o si muovono lentamente fuori da questo mondo e nell'altro.
Non è neanche lontanamente pretenzioso, è proprio l'opposto, è divertente e una volta iniziato non ti molla più. Nilsen alterna uno stile assai minimalista a pesanti tratteggi e pointillisme di chiara ispirazione moebiusiana, pagine con un layout normale ad altre libere, pagine di dialoghi e pagine mute, il bianco assoluto al nero totale. Insomma, la più grande capacità di Nilsen sembra essere la gestione del ritmo ma il libro eccelle in tutto. Amo i suoi silenzi.
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