Titolo: Le Monde d'Arkadi
Il Mondo di Arkadi potrebbe sembrare la versione di Caza de L’Incal, ma è un accostamento falso e irrispettoso in quanto relega per l’ennesima volta Caza a clone o subordinato di Moebius, quando in verità Caza era Caza ben prima che Gir si trasmutasse in Moebius.
Si può concludere che le storie avessero in comune l'essenza trasgressiva, impavida, dirompente, folle e la vena critica verso la società. Detto ciò, gli stili e gli approcci potevano essere diversi, tralasciando gli artisti minori che emulavano inconsapevolmente, e ciò è facilmente riscontrabile in quello che io chiamo il quartetto umanoide: Moebius, Druillet, Caza e Bilal. Non è un caso se li ho chiamati umanoidi e non metalhurlantiani dal momento in cui tutti e 4 hanno lavorato per Pilote (altra rivista fondamentale) e già facevano roba simile, meno dirompente ma simile, e, a parte i 2 fondatori, Caza e Bilal sono passati poco sulla rivista, mentre Les Humanoides Associes ha pubblicato svariati loro fumetti.
Moebius era il genio, quello con una formazione classica e che si è sporcato le mani, era l'eclettico per eccellenza, quello che al contempo faceva cose commerciali e d'avanguardia, e quest'ultime erano storie acide, satiriche, non sense. Druillet è l'artista viscerale, quello che le mani non se l'è mai lavate, non è mai sceso a compromessi, è quello che difatti ha influenzato Moebius, è l'autodidatta per eccellenza, ha tramutato i suoi limiti in punti di forza e le sue storie, rispetto a quelle di Moebius, aggiungevano una dimensione cosmica, magniloquente, irrazionale e mitica. Le sue tavole poi erano completamente diverse, va detto. Per farla breve, le storie di Caza, che comunque erano le più cosmiche dopo quelle di Druillet, avevano l'afflato filosofico e un perenne mood nostalgico che intonava "poesie" inquietanti. Bilal invece aggiungeva una dimensione politica più marcata e i suoi mondi erano meno irrazionali e molto futuribili. Questa è una semplificazione, che però identifica - a mio parere - gli artisti. Difatti, sottolineo che Caza e Moebius hanno fatto anche dei fumetti con impostazioni differenti, Moebius in particolare ha esplorato di tutto. Mentre la poetica di Druillet e di Bilal è troppo forte per essere messa da parte. Le radici di Bilal spiegano i temi delle sue opere e il carattere di Druillet va a braccetto con le sue, non a caso Moebius - in un intervista per il The Comics Journal - disse "Philippe had a very modern graphic quality. His work is really the expression of what he is. There are very few filters between his stories and his life". D'altronde basta sentirlo parlare, guardare il suo atelier o i suoi anelli.
Fatta la digressione per (ri)dare a Caza ciò che è di Caza, ritorniamo a Il Mondo d'Arkadi, che si è visto nel nostro paese solo e in parte sulle riviste, L'Eternauta e Bhang, per cui è assente un'edizione in volume e non mi sarebbe dispiaciuta una pubblicazione in 2 integrali per i tizi di Magic Press quando pubblicavano gli Umanoidi, che ora hanno completamente abbandonato per pubblicazioni più sicure e dunque convenzionali. Tra l'altro vorrei sottolineare che questo è il fumetto più diretto di Caza, quello
più commerciale, si fa per dire, più soft e questa era la mia paura:
credevo di trovarmi di fronte a un’opera minore. Mi sbagliavo. In realtà non c’è tutta questa differenza tra le varie opere di Caza in termini qualitativi, mentre probabilmente a livello grafico Arkadi - globalmente - è meno ispirato, e qualche pecca la si può riscontrare anche nella
sceneggiatura, però l’ambizione e la visione d’insieme tengono
meravigliosamente.
Il Mondo d’Arkadi è un fumetto ad ampio respiro, è una storia unica di 9 tomi più un numero 0 che funge da prequel, e per
questo si distacca dalla sua produzione fatta di raccolte di episodi
brevi, ma incisivi.
La Terra ha smesso di girare da oltre 10 mila
anni, la popolazione si è ridotta all’osso, la natura ormai è ostica,
c’è una faccia dove è sempre giorno e un’altra dove è sempre notte.
Gli
eletti, definiamoli persone sane, vivono in una città "campana" nella
notte con tutti i comfort grazie agli dei-macchina, ma il titano
dispensatore di sogni, Or-Fe (Orfeo), li abbandona e, non potendo reggere
una vita senza sogni, sono costretti a mandare qualcuno a cercarlo in
mezzo a lande desolate. Nella città giorno invece vive il protagonista, che
affronterà una sorta di viaggio iniziatico e messianico. Questo è, in
poche righe, l’incipit.
In altre parole ci troviamo davanti a una
storia che fonda le proprie radici nella mitologia greca, nella Divina
Commedia, nella Bibbia e non fa altro che parlare del rapporto
uomo-natura in chiave post-apocalittica. E’ una critica potente e
mirata, che viene snocciolata man mano. Infatti inizialmente tra i vari
Krono, Prometeo, Pandora, Efesto, Legione, Orfeo e quant’altro, tra
esseri selvaggi che hanno le loro credenze e una componente avventurosa
non sai ancora cosa aspettarti. Così si accumulano le informazioni inconsciamente durante la lettura come noi accumuliamo rifiuti fino a quando il tutto diventa
più chiaro. È un'opera che si fonda sugli opposti: giorno e notte, luce e ombra, caldo e freddo, poveri e ricchi, esseri
primordiali a contatto con la natura ed eletti incapaci di fare alcunché
che non sia attenersi agli dei-macchina, corpi deformi e uomini nati in
provetta, Yin e Yang. Il pantheon divino e mitologico a cui si rifà
Caza è del tutto circoscritto alla tematica, tutto è volto ad una
critica anti inquinamento. Ecco che gli strani nomi iniziano ad avere un
senso, ecco che le scorie radioattive diventano la causa del disastro.
Il
tempo è la chiave di volta di questa problematica, Krono che va a
dormire, i millenni che passano sono utili per combattere le radiazioni.
Il tempo è un uroboro, uno stallo apparente dovuto alla gravità; i
rifiuti, la massa, innescano iperbolicamente un buco nero, che per
uno scherzo del destino è proprio ciò che salverà la Terra.
Orfeo si
ribella e per decenni si nasconde a fare l’artista, rifugiandosi dietro
la gonnella dell’arte, creando sogni per nessuno, dove l’arte deve dare
retta solo all’arte. Tuttavia neanche un’artista può crogiolarsi dinanzi al
disfacimento totale, bisogna scendere in campo, provare a cambiare le
cose.
In una città in cui i sogni sono necessari e questi sogni sono
presi direttamente dal passato, perché oggi non è più possibile
crearli, le metafore sono necessarie. Parlare attraverso i miti è
l’unico modo per aggrapparsi al passato, ma “la speranza è una piaga”.
Basta sperare, basta sognare. L’Arca(di) è il vascello per mettere le
cose a posto, per lasciare andare gli dei, le macchine, gli dei-macchina
e che “vadano a fottersi tra le stelle”, che sulla Terra non se ne ha
bisogno. Non è ancora troppo tardi, questo vuole dirci l’autore non più
nichilista perché il nichilismo è inutile, non cambia le carte in
tavola; solo un messia, un cambiamento, può dare i suoi frutti.
Una
storia coi fiocchi, in pieno stile Umanoide tra l’altro, a riprova che
Caza è uno con i piedi per terra e che, almeno narrativamente, non ha
nulla da spartire con il più folle Moebius. Avrei preferito che l’ultimo tomo non
fosse così esplicito in quanto gli elementi chiave ce li aveva forniti
tutti prima dello spiegone, poi ovviamente alcuni dettagli provenienti
da questo spiegone rivolto ad Arkadi hanno avuto la loro utilità per
portarmi alle ultimissime pagine.
Come ho già detto c’è anche una
massiccia dose di alchimia, ma anche di archetipi e non ci
scandalizziamo per i nudi che è – oltre ad un archetipo – un elemento
fondante della tematica, non a caso nelle ultime pagine vogliono un
posto “dove si possa vivere nudi” e si ironizza anche sul corpo stesso.
Un ritorno alle origini.
Interessantissimo blog, complimenti.
RispondiEliminaGrazie. Mi fa piacere che piaccia!
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