Pensieri Sparsi - Le Monde d'Arkadi di Caza


Autore: Caza
Titolo: Le Monde d'Arkadi
Editore: inedito (Les Humanoïdes Associés e Delcourt)
Pagine: 460 circa, a colori
Formato: 24 x 32 cm, cartonato

Il Mondo di Arkadi potrebbe sembrare la versione di Caza de L’Incal, ma è un accostamento falso e irrispettoso in quanto relega per l’ennesima volta Caza a clone o subordinato di Moebius, quando in verità Caza era Caza ben prima che Gir si trasmutasse in Moebius.

Entrambi hanno contribuito a creare il look trasgressivo di Metal Hurlant con le loro storie e probabilmente si sono anche influenzati a vicenda. Certo, Moebius ne L’Incal semplifica il tratto e lo stesso fa tempo dopo anche Caza per Arkadi. Un altro punto in comune è la narrazione simbolica intrisa di alchimia di Jodorowsky, che comunque qui non è così preponderante. Tuttavia la fantascienza di Caza era già più o meno così: poetica e anche filosofeggiante ma angosciante, senza l’ironia e la giocosità di Jodo. Ciò che si deve tenere a mente è che in realtà Metal Hurlant non aveva uno stilema preciso, ma certamente aveva una linea guida. La grande rivista si proponeva di svecchiare la fantascienza (e il fantasy) classica, ancorata a una visione certamente positivista della tecnologia che spesso risultava ingenua; dunque aveva lo scopo di fare fantascienza per adulti, dal momento in cui il fumetto aveva iniziato a muovere i suoi passi verso l'età adulta. Questa non era la sola raison d'être della rivista: avere il totale controllo sull'opera, la totale libertà creativa era la vera rivoluzione. La rivista ha anche innalzato il livello grafico e ha stabilito la centralità dell'aspetto visivo. E' da sottolineare che il maggiore peso ai disegni va bene per quelle e altre storie ma non è l'unico modo di fare fumetti, è sempre una questione di equilibri e di sinestesia. Del resto la moda del GN degli ultimi 20 anni ha un altro decreto: l'importante è raccontare. Per lo meno quella di MH non era una moda, ma uno stato di essere, un modo di vedere le cose, una rivoluzione vera e propria e in quanto tale doveva finire, altrimenti sarebbe diventata conformismo, che è ciò a cui stiamo assistendo nell'editoria del nostro paese (ma c'è di peggio). L'impatto di quella rivista fu così evidente a posteriori che Jean-Pierre Dionnet dichiarò di essersi preso del tempo prima di convincersi che non era solo una rivista ma che si trattava invece di un movimento artistico alla pari del surrealismo: "L'ho capito quando come nostro primo abbonato abbiamo avuto Alain Resnais. Chris Marker è stato il secondo, Federico Fellini il quinto. L'ho imparato quando, dopo aver chiesto una prefazione a George Lucas, ce la mandò la settimana successiva, e quando Ridley Scott arrivava a chiederci notizie sui nostri migliori disegnatori".
Si può concludere che le storie avessero in comune l'essenza trasgressiva, impavida, dirompente, folle e la vena critica verso la società. Detto ciò, gli stili e gli approcci potevano essere diversi, tralasciando gli artisti minori che emulavano inconsapevolmente, e ciò è facilmente riscontrabile in quello che io chiamo il quartetto umanoide: Moebius, Druillet, Caza e Bilal. Non è un caso se li ho chiamati umanoidi e non metalhurlantiani dal momento in cui tutti e 4 hanno lavorato per Pilote (altra rivista fondamentale) e già facevano roba simile, meno dirompente ma simile, e, a parte i 2 fondatori, Caza e Bilal sono passati poco sulla rivista, mentre Les Humanoides Associes ha pubblicato svariati loro fumetti.
Moebius era il genio, quello con una formazione classica e che si è sporcato le mani, era l'eclettico per eccellenza, quello che al contempo faceva cose commerciali e d'avanguardia, e quest'ultime erano storie acide, satiriche, non sense. Druillet è l'artista viscerale, quello che le mani non se l'è mai lavate, non è mai sceso a compromessi, è quello che difatti ha influenzato Moebius, è l'autodidatta per eccellenza, ha tramutato i suoi limiti in punti di forza e le sue storie, rispetto a quelle di Moebius, aggiungevano una dimensione cosmica, magniloquente, irrazionale e mitica. Le sue tavole poi erano completamente diverse, va detto. Per farla breve, le storie di Caza, che comunque erano le più cosmiche dopo quelle di Druillet, avevano l'afflato filosofico e un perenne mood nostalgico che intonava "poesie" inquietanti. Bilal invece aggiungeva una dimensione politica più marcata e i suoi mondi erano meno irrazionali e molto futuribili. Questa è una semplificazione, che però identifica - a mio parere - gli artisti. Difatti, sottolineo che Caza e Moebius hanno fatto anche dei fumetti con impostazioni differenti, Moebius in particolare ha esplorato di tutto. Mentre la poetica di Druillet e di Bilal è troppo forte per essere messa da parte. Le radici di Bilal spiegano i temi delle sue opere e il carattere di Druillet va a braccetto con le sue, non a caso Moebius - in un intervista per il The Comics Journal - disse "Philippe had a very modern graphic quality. His work is really the expression of what he is. There are very few filters between his stories and his life". D'altronde basta sentirlo parlare, guardare il suo atelier o i suoi anelli.


Fatta la digressione per (ri)dare a Caza ciò che è di Caza, ritorniamo a Il Mondo d'Arkadi, che si è visto nel nostro paese solo e in parte sulle riviste, L'Eternauta e Bhang, per cui è assente un'edizione in volume e non mi sarebbe dispiaciuta una pubblicazione in 2 integrali per i tizi di Magic Press quando pubblicavano gli Umanoidi, che ora hanno completamente abbandonato per pubblicazioni più sicure e dunque convenzionali. Tra l'altro vorrei sottolineare che questo è il fumetto più diretto di Caza, quello più commerciale, si fa per dire, più soft e questa era la mia paura: credevo di trovarmi di fronte a un’opera minore. Mi sbagliavo. In realtà non c’è tutta questa differenza tra le varie opere di Caza in termini qualitativi, mentre probabilmente a livello grafico Arkadi - globalmente - è meno ispirato, e qualche pecca la si può riscontrare anche nella sceneggiatura, però l’ambizione e la visione d’insieme tengono meravigliosamente.
Il Mondo d’Arkadi è un fumetto ad ampio respiro, è una storia unica di 9 tomi più un numero 0 che funge da prequel, e per questo si distacca dalla sua produzione fatta di raccolte di episodi brevi, ma incisivi.

La Terra ha smesso di girare da oltre 10 mila anni, la popolazione si è ridotta all’osso, la natura ormai è ostica, c’è una faccia dove è sempre giorno e un’altra dove è sempre notte.
Gli eletti, definiamoli persone sane, vivono in una città "campana" nella notte con tutti i comfort grazie agli dei-macchina, ma il titano dispensatore di sogni, Or-Fe (Orfeo), li abbandona e, non potendo reggere una vita senza sogni, sono costretti a mandare qualcuno a cercarlo in mezzo a lande desolate. Nella città giorno invece vive il protagonista, che affronterà una sorta di viaggio iniziatico e messianico. Questo è, in poche righe, l’incipit.
In altre parole ci troviamo davanti a una storia che fonda le proprie radici nella mitologia greca, nella Divina Commedia, nella Bibbia e non fa altro che parlare del rapporto uomo-natura in chiave post-apocalittica. E’ una critica potente e mirata, che viene snocciolata man mano. Infatti inizialmente tra i vari Krono, Prometeo, Pandora, Efesto, Legione, Orfeo e quant’altro, tra esseri selvaggi che hanno le loro credenze e una componente avventurosa non sai ancora cosa aspettarti. Così si accumulano le informazioni inconsciamente durante la lettura come noi accumuliamo rifiuti fino a quando il tutto diventa più chiaro. È un'opera che si fonda sugli op
posti: giorno e notte, luce e ombra, caldo e freddo, poveri e ricchi, esseri primordiali a contatto con la natura ed eletti incapaci di fare alcunché che non sia attenersi agli dei-macchina, corpi deformi e uomini nati in provetta, Yin e Yang. Il pantheon divino e mitologico a cui si rifà Caza è del tutto circoscritto alla tematica, tutto è volto ad una critica anti inquinamento. Ecco che gli strani nomi iniziano ad avere un senso, ecco che le scorie radioattive diventano la causa del disastro.

Il tempo è la chiave di volta di questa problematica, Krono che va a dormire, i millenni che passano sono utili per combattere le radiazioni. Il tempo è un uroboro, uno stallo apparente dovuto alla gravità; i rifiuti, la massa, innescano iperbolicamente un buco nero, che per uno scherzo del destino è proprio ciò che salverà la Terra.
Orfeo si ribella e per decenni si nasconde a fare l’artista, rifugiandosi dietro la gonnella dell’arte, creando sogni per nessuno, dove l’arte deve dare retta solo all’arte. Tuttavia neanche un’artista può crogiolarsi dinanzi al disfacimento totale, bisogna scendere in campo, provare a cambiare le cose.
In una città in cui i sogni sono necessari e questi sogni sono presi direttamente dal passato, perché oggi non è più possibile crearli, le metafore sono necessarie. Parlare attraverso i miti è l’unico modo per aggrapparsi al passato, ma “la speranza è una piaga”. Basta sperare, basta sognare. L’Arca(di) è il vascello per mettere le cose a posto, per lasciare andare gli dei, le macchine, gli dei-macchina e che “vadano a fottersi tra le stelle”, che sulla Terra non se ne ha bisogno. Non è ancora troppo tardi, questo vuole dirci l’autore non più nichilista perché il nichilismo è inutile, non cambia le carte in tavola; solo un messia, un cambiamento, può dare i suoi frutti.
Una storia coi fiocchi, in pieno stile Umanoide tra l’altro, a riprova che Caza è uno con i piedi per terra e che, almeno narrativamente, non ha nulla da spartire con il più folle Moebius. Avrei preferito che l’ultimo tomo non fosse così esplicito in quanto gli elementi chiave ce li aveva forniti tutti prima dello spiegone, poi ovviamente alcuni dettagli provenienti da questo spiegone rivolto ad Arkadi hanno avuto la loro utilità per portarmi alle ultimissime pagine.
Come ho già detto c’è anche una massiccia dose di alchimia, ma anche di archetipi e non ci scandalizziamo per i nudi che è – oltre ad un archetipo – un elemento fondante della tematica, non a caso nelle ultime pagine vogliono un posto “dove si possa vivere nudi” e si ironizza anche sul corpo stesso. Un ritorno alle origini.




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