Autore: Andi Watson
Titolo: Book Tour
Editore: BD Edizioni
Pagine: 270 in bianco e nero
Formato: 15 x 21 cm, brossurato
Tagliando la testa al toro, possiamo dire che il tema centrale di The Book Tour è l'incomunicabilità. Il protagonista, Fretwell, viene invitato a un tour promozionale in cui si cerca inutilmente di vendere il suo libro, "Senza K", che parla di un uomo che vende enciclopedie che scopre che il suo volume "K" e sua moglie Kaye sono scomparsi.
Le stranezze iniziano dal fatto che nessuno si presenta e dunque nessuno compra il suo libro. In seguito capiamo che questa assurdità ha una duplice valenza, che riflette il lavoro dello scrittore in generale, che non è solo un lavoro creativo e solitario ma, anzi, lo scontro e incontro con il pubblico, dal vivo e non, è parte fondamentale per riuscire nell'obiettivo primario: comunicare. E' così che il suo libro sulle assenze non riesce, a sua volta, a raggiungere alcun lettore e lo stesso Fretwell non sembra essere in grado di comunicare. Difatti l'autore esaspera le conversazioni con un andamento addirittura asincrono. Le arricchisce con silenzi tombali, ovvero con Fretwell che fissa gli altri dopo che hanno fatto strane affermazioni, o loro che lo guardano con aria assente dopo che ha detto qualcosa di ragionevole. Tali interazioni perfettamente sconcertanti rendono Book Tour volutamente esacerbante, poiché anche le azioni di routine di Fretwell diventano una lotta surreale. Su questo c'è da sottolineare la magistrale bravura di Watson nel gestire dialoghi stralunati portati avanti dall'ingenua pacatezza e impassibilità del protagonista che accentua l'incomprensione in situazioni di base già assurde. Ne scaturisce una commedia degli equivoci, piena di humour inglese. Per esempio, in una scena Fretwell esprime felicità per il ritrovamento di una ragazza scomparsa, trovando il disappunto del libraio che solo in seguito menziona che è stata ritrovata morta, come se ciò fosse ovvio fin dall'inizio.Watson smorza questo umorismo morboso iniziale insinuando costantemente
l'inquietudine nella farsa comica. Difatti la storia procede per
accumulo di sventure, sempre più surreali e ansiogene, mentre la storia
da comica e spensierata diventa tragica e irrefrenabile, ma le due facce
sono equilibrate ed esistono contemporaneamente. Per cui è facile
dedurre che il mood generale è di matrice tragicomica. Non è solo un
racconto esistenziale, Watson ci tiene avvinghiati e la storia si lascia
divorare anche grazie al fatto che parallelamente imbastisce una sorta
di thriller metafisico, in cui il protagonista quasi si fonde con il suo
libro.
Il tutto ha inizio dal furto della valigia di Fretwell, continua
con un serial killer e si conclude con un’assurda accusa di omicidio.
Dunque, in questa storia, anche i percorsi paralleli finiscono per
scontrarsi, rievocando la lezione di Kafka. Difatti Book Tour è un
incubo kafkiano misto all'ironica assurdità del reale di Beckett (a cui ha detto
di ispirarsi). Del resto è il perfetto equilibrio tra queste due simili
- ma non uguali - visioni del mondo a rendere il fumetto riuscito e non
derivativo. L'ansietà di dover scappare da un accrocchio paradossale si
scontra con una sorta di accettazione dei meccanismi irrazionali che
regolano il mondo tramite la spensieratezza. Ed è qui che sta la
differenza con Kafka, che l'autore non ha letto e, anzi, proprio per
questo ha chiamato il libro di Fretwell "Senza K"; manca dunque il
nichilismo. Per Kafka il sistema razionale dell'umanità non è fatto per
gli umani, quindi siamo tutti ingranaggi, insignificanti, incapaci di
trovare uno scopo alla nostra esistenza. E per far sì che questo sia
monoliticamente efficace, inscardinabile, il linguaggio deve vivere solo
in relazione al linguaggio, diventa dunque autoreferenziale. Viviamo in
un labirinto senza progettista e questo traspare anche dalle pagine di Book Tour ma c'è un grosso "e quindi?". Quindi viviamo.
L'opera in questione si avvale di una grande padronanza narrativa, riscontrabile soprattutto nella gestione del ritmo oscillando tra momenti mondani e concitati, creando uno storytelling teso per tutta la durata. Qui si vede l'influsso di Beckett perché l'opera sembra impossibilitata a cambiare, apparentemente la narrazione è in stallo ma tutto è in movimento. Il protagonista stesso è talmente impassibile che sembra in perenne attesa che qualcosa gli risolva questo tormento labirintico; è un Joseph K. in attesa di Godot. Non mancano neanche i "tormentoni" che accentuano la natura quotidiana, assurda e ironica della storia, ma anche della vita. Per questo è anche necessario il tratto semplice, rotondo, naif, poco
chiaro e ballerino in modo da restituire le sensazioni contrapposte di
cui sopra.
In particolare, i personaggi sono disegnati in modo astratto,
più come caricature (difatti lo stile ricorda Sempé o gli illustratori
naif di fine ottocento) che come persone reali, mentre l'ambiente
circostante è maggiormente dettagliato, caricato e scuro come possiamo notare sin dalla copertina. Il risultato
finale è, ovviamente, un mondo sottilmente opprimente in cui le persone
non si vedono davvero come persone, e i tratti di penna veloci e sciolti
creano un'atmosfera via via più frenetica. Il segno minimalista e
indefinito è necessario anche a rimarcare l'irrazionalità
dell'esistenza. Tanto è vero che il serial killer è una figura ectoplasmatica, è invisibile perché non possiamo mai averne uno sguardo unitario, guardando alle varie parti pensiamo che siano collegate razionalmente e invece non è così.
L'autore suggerisce che l'angoscia esistenziale si può affrontare con
l'ironia, è sotto questa luce che il finale anticlimatico prende tutta
la sua forza.
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