Autore: Frederik Peeters e Pierre Oscar Lévy
Titolo: Castello di Sabbia
Editore: Coconino Press
Pagine: 112 in bianco e nero
Formato: 21,5 x 29 cm, brossurato
“Begins like a murder mystery, continues like an episode of The Twilight Zone, and finishes with a kind of existentialism that wouldn’t be out of place in a Von Trier film.” Publishers Weekly.
Il nucleo del libro è qualcosa che ha a che fare con il destino prometeico dell’umanità, il riscaldamento globale e la crisi ambientale. La storia inizia con una tranquilla, ma già misteriosa, giornata di vacanza al mare. Segue una corsa inarrestabile contro il tempo che può avere un solo vincitore e questa consapevolezza è un fardello schiacciante che porta alla rassegnazione, d'altronde cosa è la vita quando hai certezza della morte?
Gli autori riescono a trasformare un pezzo di spiaggia in un luogo opprimente, creando uno psicodramma in 100 tavole, rispettando le 3 regole (unità di luogo, tempo e azione). Ci riescono mettendo insieme alcuni personaggi dal carattere forte e, come un esperimento scientifico, li sottopongono a uno stress sempre più intenso. Subito notiamo che le convenzioni stanno svanendo, per lasciare il posto alle angosce primarie e ataviche: violenza, sesso e morte. La tensione scorre veloce, fa a gara con il tempo e d'un tratto hai finito il volume. Al lettore non viene lasciato nessuna risposta né alcun indizio per svelare il mistero, osserva la sorte dei protagonisti impassibile come loro e attende la fine. Il segno di Peeters è vivido e molto gestuale, alterna sequenze paesaggistiche a primi piani intensi fornendo un ritmo incalzante, disteso ma teso, e la scelta del bianco e nero non fa che aumentare il senso di mistero.
Il luogo paradisiaco per eccellenza, la spiaggia, dove l'uomo può rilassarsi e non pensare ad altro, diventa la bocca dell'inferno. La natura, da vittima, si ribella e tortura i poveri protagonisti impotenti.
La fiaba araba (che da sempre sono più misteriose, hanno un alone di non luogo e senza tempo, quindi risulta essere una scelta azzeccatissima) finale ci lascia alcuni degli eterni interrogativi che non avranno mai risposta. Prendo in prestito un pezzo di Vautrin che ha usato per descrivere "Nel Bar" di Munoz e Sampayo: "Personaggi dalle esistenze separate, riluttanti a piegarsi alle norme, autori di gesti comunque legati a una ricerca di identità. Chi sono io? Con l'inevitabile conseguenza: chi sono gli altri?" O la frase di Lost "si vive insieme, si muore da soli", solo che in questo caso va un po' modificata. Credo che la vita e la morte in Castello di Sabbia siano una sola cosa legata dal tempo, perché è il tempo che ti frega, sia nel corpo sia nella mente (vechi ma giovani). Poi c'è la natura, quella malvagia, chaos reigns, che ha sempre la meglio, la tecnologia non può nulla. Quindi, cosa ce ne facciamo della nostra vita, che non è altro che un castello di sabbia?
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