Recensioni - Alvar Mayor di Enrique Breccia e Carlos Trillo

Autore: Enrique Breccia & Carlos Trillo
Titolo: Alvar Mayor integrale
Editore: Andamar
Pagine: 57 x 12 in bianco e nero
Formato: 21 x 30 cm, brossurato

Parlare di Alvar Mayor significa parlare di uno dei fumetti argentini più conosciuti e influenti soprattutto nel nostro paese. Era il 1977 quando apparve da noi per la prima volta, sul numero 5 di Skorpio, e Alvar Mayor si presentava come un qualcosa di nettamente superiore agli altri fumetti che in quel periodo uscivano sui 2 settimanali Eura ma era anche più fresco, più libero sia nei testi che nella composizione. Il paragone lo si può fare anche con i fumetti d'avventura della Bonelli naturalmente e anzi Alvar Mayor ha influenzato molti disegnatori della scuderia soprattutto per quanto riguarda l'uso del bianco e nero.
Era molto più vicino a Corto Maltese ma la prima differenza è che Pratt lavorava sulle strisce mentre Enrique guardava alla tavola nella sua interezza, poi Corto era più raffinato mentre Alvar è più viscerale e sporco.
Comunque, per un fumetto ambientato nell'America Latina post-coloniale, senza uscire dai canoni dell'avventura popolare, si potrebbero seguire 3 approcci: il filone picaresco, il classico eroe alla Bonelli o un fantasy. Trillo invece fa altro, imbastisce storie pseudo-realistiche, con un antieroe a metà, intessute di magia e leggenda. Piuttosto che seguire esclusivamente le orme europee, segue giustamente per lo più il realismo magico sudamericano (Borges infatti non è solamente un personaggio di una delle storie ma alcune storie si ispirano chiaramente ai suoi racconti). Sono tutti racconti da 12 pagine, a parte 3 o 4 che si trascinano per più capitoli, quasi sempre autonomi ma che comunque andrebbero letti in ordine cronologico. All'inizio le storie sono più schematiche e realistiche, qualcuno ingaggia Alvar Mayor come guida per trovare tesori leggendari, ma già nel primo volume (di 7) Alvar si svincola da questo ruolo e inizia lui stesso a cercare, ehm vagare senza uno scopo, e dunque ad affrontare storie oniriche e fantastiche con o senza amici. 
Alvar è taciturno, con scorza ruvida, non privo di una morale che gli permette di fare le sue scelte ma di non imporre la sua per fare, come si dice, la morale da 4 soldi. E' opportuno soffermarsi su questo punto in quanto le storie possono finire molto male, male, benino ma non c'è mai un giudizio, le storie vengono anzi troncate di netto e tutt'al più si lasciano parole sospese. La splash page seguente, che di solito viene utilizzata da Enrique per chiudere i capitoli, termina con un "ti avevo sognato". Da notare poi la significativa composizione della tavola in cui i 2 personaggi sono racchiusi tra i rami di un albero in primo piano a continuazione della ragnatela. Ciò ha una doppia valenza in quanto i 2 sono troppo lontani dal ragno e si stanno lasciando alle spalle la prigione. Quale prigione? Quella del sogno in primis e quella reale, della storia, poi, poiché Lucia e Alvar erano prigionieri poche pagine prima e stavano per essere giustiziati. Evidentemente le prede si sono liberate dalla morsa.
 

 
 
 
Dalla tradizione europea invece riprende l'andamento delle favole morali. Trillo nei suoi fumetti è quasi sempre ironico, qui invece non lo è quasi mai (in realtà l'ironia c'è ma è meno evidente) ma le atmosfere favolistiche sono pervase da un'amarezza e malinconia che si può riscontrare già nei disegni di Breccia jr. La caratterizzazione grafica dei personaggi in questo caso fornisce più sfaccettature e infatti se Alvar Mayor è un personaggio da ricordare non è per ciò che dice ma per come viene reso graficamente. Ecco, rispetto agli eroi bonelliani (e di altre nazionalità) c'è una grande differenza che onestamente non è stata ancora colmata: la volontà di non apparire per acchiappare e di non restare superficiali, inteso proprio nell'esteriorità. Quando non si stilizzano e idealizzano i personaggi per piacere al pubblico ne esce sempre qualcosa di affascinante e unico, che travalica il fumetto popolare (ovvero indirizzato al popolo, il mainstream è un'altra cosa). In realtà questo non vale solo per Alvar, i fumetti argentini del periodo erano tutti così e anche per questo sono finiti nel dimenticatoio.
L'altra differenza è che il segno di Breccia parla, comunica, si esprime, non descrive e basta. In sostanza, la differenza è che Breccia è un autore e non un artigiano al servizio del personaggio e dunque dell'editore. Non è un caso che il Texone più personale di sempre sia il suo, nonostante abbiano partecipato svariati maestri del calibro di Buzzelli e Magnus. Dunque si può leggere la malinconia di Alvar dal tratteggio o dal contrasto tra bianco e nero o, ancora, dal suo errare in campi lunghi. Inoltre, c'è sempre un alone di mistero, qualcosa di insondabile ed è reso dal fatto che quasi mai (o semplicemente mai, forse solo le donne) i personaggi vengono mostrati nella loro interezza, senza che una parte sia oscurata dal nero; anche i visi hanno quasi sempre una zona d'ombra e non parlo di silhouette o luci "espressioniste" ma macchie di nero fuse a tratteggi. Ciò va contro il principio base del commerciale, dell'essere sempre facilmente riconoscibili, del rientrare sempre all'interno delle vignette, ecc. Del resto una costante dell'arte di Enrique è la spiccata sensibilità per il tragico, che è comune a gran parte degli argentini però in lui è lampante per via del suo segno logoro, vissuto, trasandato, usurato e stracciato tanto nei visi rugosi quanto nei vestiti sfilacciati.


Trillo qui è quasi sempre asciutto nei dialoghi, non seguendo il realismo ma appunto il fantastico e, salvo qualche frase poetica ogni tanto, lascia la liricità nelle mani di Enrique perché indubbiamente Trillo è più da chiusura caustica mentre Breccia è più da chiusura lirica. In linea di massima almeno, poi Trillo è eclettico e ha scritto, tra le tante cose, anche situazioni più liriche, come per esempio in Borderline e in Cybersix, ma senza mai esagerare perché ci vuole poco per passare dal lirismo al melodramma forzato e Trillo lo sa perché ha scritto anche melodrammi, geniali e raffinati però. Allo stesso modo Breccia sa essere caustico, grottesco, umoristico persino ma le chiusure di Alvar Mayor sono spesso liriche e pur tuttavia il mood non è sempre lo stesso.
La capacità di alternare pagine quasi tutte bianche e pagine quasi tutte nere è sicuramente uno dei suoi punti di forza e, no, non si sta parlando di tagli netti, geometrici e freddi alla Risso, Mignola o Miller di Sin City; Breccia al è massimo accostabile all'uso dello spazio negativo di Toppi e Battaglia ma, in particolare, l'argentino costruisce all'inizio un'ambientazione e alla fine la svuota, ti lascia immaginare ciò che non vedi. Infatti, quasi sempre l'ultima pagina delle storie è una splash sintetica con molto nero e poco bianco o viceversa. Certamente può accadere anche il contrario, difatti in seguito vengono mostrate la singola splash, che ricade nel primo caso, e poi una doppia pagina che contiene la chiusura e l'inizio di 2 capitoli contigui, in cui fa esattamente l'opposto: la pagina a sinistra, che chiude un capitolo, non è affatto sintetica, ma le vignette a destra, che aprono il successivo, giocano sulla sintesi. 
 
 
 
 
Questa circolarità, ripetizione e progressione delle storie, contribuisce a fermare il tempo. Se è vero che l'ambientazione e il periodo storico sono precisi, è altrettanto vero che si ha la sensazione del tempo mitico più o meno come capita per Toppi, anche se non è altrettanto preponderante. Da un lato la ricostruzione storica dal punto di vista grafico non è certamente del tutto fedele e credo non studiata ma non vuole essere tale, del resto ora che so che Breccia non utilizza mai reference, disegna tutto, ma proprio tutto a mente, capisco non solo perché funziona ma anche perché si può parlare di tempo mitico: perché è tutto assemblato nella mente dell'autore a livello inconscio (Breccia amava l'epoca pre-colombiana e ha assimilato a lungo costumi e aspetti tipici). Dall'altro lato poi abbiamo la narrazione sospesa di Trillo, il taglio netto di sopra. E' chiaro che è l'insieme, tutta la sequenza, a rendere il lavoro di Breccia sopraffino e oltretutto molto moderno. Tra l'altro, prima ho evidenziato la potenza evocativa delle splash di Enrique ma rettifichiamole in vignette grandi; ebbene, a queste vignette di ampio respiro si affiancano i primi piani espressivi che scavano nei solchi del tempo, trasmettendo un'istantanea della sofferta vita che hanno vissuto. Da una parte abbiamo il soffio della libertà e dall'altra l'angustiosa gabbia interiore; è da questa alternanza che Enrique tira fuori alcune delle pagine più potenti, che tra l'altro denotano - come se ce ne fosse ancora bisogno - un uso sapiente del ritmo narrativo. Questa, ad esempio, è una che alterna il lontanissimo e il vicinissimo.


Trillo apparentemente costruisce un cast attorno a un tema e usa l'ambientazione come cornice per qualsiasi tipo di storia che vuole raccontare. Gli episodi possono narrare la strana magia dei sogni, la redenzione di una vita non ben vissuta, il potere della bellezza, l'intransigenza della follia, l'avidità come forza motrice, le leggende del passato che continuano a riecheggiare, ecc. In ogni caso l'apparente semplicità cela una corrente turbolenta dove si lascia molto all'immaginazione, all'ambiguità. E' anche interessante l'uso della superstizione tra i nativi poiché Trillo non sminuisce le loro credenze, ma le abbraccia sia per il mood sia perché il loro misticismo aggiunge un'inquietante intensità alle storie, in quelle oniriche in particolare. 
L'america latina era ancora in buona parte un territorio vergine e da esplorare, era il luogo perfetto per le tante leggende che i conquistadores hanno assorbito e per questo Alvar Mayor è un ricettacolo di storie in cui si assiste a cose fantasiose ma che nascondono sempre un briciolo di verità. Dietro i personaggi informi e grotteschi di Breccia c'è l'umanità e nelle foreste incantate c'è l'altrove. E' emblematico il fatto che Alvar sia un meticcio nato dall'unione di un europeo con un'india, ciò si nota anche nel suo spirito a metà tra le due culture ma soprattutto si fa simbolo dell'America. Questa ambivalenza lo mette su un piedistallo perché gli permette di scorgere gli eventi con fare distaccato ma allo stesso tempo resta in balia di tali eventi e partecipa al cambiamento. Infatti cambia più volte selciato, è una guida, si innamora, sconfigge essere mitologici, affronta se stesso e persino il diavolo.
Prima si citava Borges e indubbiamente è il nume tutelare della serie ma Alvar Mayor è innanzitutto avventura e si rifà ai grandi narratori del passato, da Omero a Melville. Questa serie ha in comune con Corto Maltese l'essere un sentito omaggio ai giganti della letteratura avventurosa. L'avventura, con la a maiuscola, non è semplice divertissement, è infarcita di allegorie, ha lo scopo di indagare l'esistenza e valicare i confini metafisici sotto forma di storie di formazione, miti e leggende, traversate esteriori che cambiano il mondo interno. La struttura episodica tipica delle historietas è l'incarnazione stessa del mito poiché la scansione ritmica costante serve da rituale.

 Sebbene sia una sorta di rituale ci sono anche elementi che cambiano lo status quo e difatti si possono individuare 3 cicli: 
- Quello iniziale, più tradizionale, in cui Alvar fa da guida per la ricerca di tesori. Da segnalare in questa tranche il sesto capitolo, che è del tutto diverso dalla tradizione "cappa e spada" in quanto Alvar ha delle allucinazioni e l'episodio non ha neanche una conclusione, che poi è questa e fa capire come si evolverà la serie: "E' scesa la notte, la foresta assume forme spettrali. Alvar Mayor ha la certezza che passato e futuro non esistono. Esiste solo un'assurda, immota eternità. E tutto il resto nasce e muore nella mente degli uomini...
- Dal capitolo 9 al 25 si hanno le storie oniriche, magiche, misteriose ed è il meglio della serie. Non ci sono storie in particolare da segnalare, è tutto un crescendo, ma forse quella che più resterà nella memoria riguarda l'incontro con Omero e il doppio capitolo (15-16) si chiude con una sua citazione: "L'amore fra un uomo e una dea è impossibile".
- Da qui in poi inizia il viaggio alla ricerca delle origini, che vede un Alvar ormai disperato errare senza una meta, il personaggio diventa sempre più distaccato e ciò lo si ritrova anche nelle storie che non hanno più l'unità del secondo ciclo. In questo lungo ciclo si denota un percorso a picchi e a valli che indubbiamente abbassa un po' gli standard. Il settimo volume è il più debole, sintomo che ormai Trillo non aveva più nulla da dire ma per fortuna chiude la serie alla grande mischiando passato e "presente", grandezza e miseria, realismo e leggenda.
 
 


Questi 3 cicli coincidono strettamente con la durata della dittatura argentina ('76-'83), per questo quelle storie tragiche e violente si riflettevano anche nell'attualità anche se Borges aveva una visione dell'arte libera dagli eventi: «Forse uno dei più grandi peccati del nostro secolo è l’importanza che si dà alla storia. Questo in altre epoche non succedeva. […] L’arte e la letteratura do­vrebbero cercare di riscattarsi dal tempo. Spesso mi hanno detto che l’arte dipen­de dalla politica o dalla storia. Ma credo sia falso. […] L’arte è un piccolo mira­colo […] che sfugge, in qualche modo, all’organizzata casualità della storia.» Ma se l'arte è libera, ciò non è sempre vero per gli artisti.
I volumi Andamar pur avendo dimensioni importanti hanno una stampa non ottimale, si nota una sovraesposizione che produce la perdita di dettagli e in particolare il settimo crea un marasma poco omogeneo di segni che fa perdere gran parte della potenza evocativa di Breccia. Purtroppo questa è la migliore edizione in circolazione e mi dispiace veramente vederlo ridotto a bonellide nell'edizione Cosmo, che in ogni caso ha il pregio di rilanciare le historietas e l'edizione precedente è comunque esaurita.
Penso che le storie migliori si concentrino nei volumi 2-5. In totale sono solo 700 pagine, gli autori hanno avuto il buon senso di chiuderla prima che diventasse troppo ridondante o sterile. Per alcuni potrà sembrare ripetitiva ma dipende in cosa, perché l'unica cosa che si ripete è il fatto che Alvar si trovi in situazioni strane. Poi è ovvio che alcune si assomiglino, d'altronde Alvar Mayor è una serie che sfrutta la variazione del tema e, in ogni caso, è una lettura scorrevole. E' altrettanto rapida l'evoluzione stilistica di Enrique, gli bastano pochi capitoli per raggiungere lo stile che lo ha consacrato. Difatti Alvar Mayor segna il distacco dai suoi lavori precedenti, più espressionisti e d'avanguardia (Che, La Guerra della Pampa), per approdare in territori più popolari, con un segno più realistico.
"Alvar Mayor è fatto della stessa materia di cui son fatte le leggende. I poemi cavallereschi. I grandi romanzi moderni. Un grande omaggio alla storia della letteratura, a ciò che leggevano i nostri padri e i nostri nonni prima di noi, alle grandi storie che costituiscono il fondamento della nostra cultura” (Marco Pesce, op. cit.)".


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